L’autostima ce l’hai e non lo sai

Autostima è una delle parole più usate nel mondo della crescita personale. Ci dicono che dobbiamo rafforzarla, lavorarci sopra, costruirla pezzo dopo pezzo. Ma ti sei mai chiesto se l’autostima sia davvero qualcosa di cui hai bisogno? O se, piuttosto, sia un concetto che può diventare superfluo quando impari a vedere le cose da un’altra prospettiva?

Cos’è (e cosa non è) l’autostima

L’autostima viene spesso confusa con la fiducia in sé stessi, con l’essere sicuri, con il sentirsi all’altezza in ogni situazione. Ma se scaviamo un po’ più a fondo, ci accorgiamo che non esiste una definizione univoca: ognuno ne ha una percezione diversa, legata alle proprie esperienze, alla propria storia e alle proprie convinzioni.

Molti credono che avere autostima significhi non avere dubbi, non sbagliare mai, essere sempre in controllo. Ma questo è un mito. L’autostima non è una corazza che ci protegge dalle insicurezze, né un superpotere che ci rende invincibili. Piuttosto, è una forma di accettazione: accettare di essere come siamo, con i nostri punti di forza e le nostre fragilità, senza per questo sentirci meno capaci o meno degni di realizzare ciò che desideriamo.

E se l’autostima fosse un’illusione?

Prova a pensare ai momenti in cui ti sei sentito davvero bene con te stesso. Magari quando eri immerso in qualcosa che ti appassiona, quando hai aiutato qualcuno senza aspettarti nulla in cambio, quando hai semplicemente vissuto il momento senza chiederti se eri abbastanza.

In quei momenti, hai pensato alla tua autostima? Probabilmente no. Perché quando siamo davvero presenti, quando siamo in uno stato di “flusso” (come lo chiamano gli psicologi), il concetto di autostima diventa irrilevante. Sei semplicemente te stesso. Fai ciò che ti viene naturale fare. Non hai bisogno di etichette o misure per sentirti adeguato.

Il ruolo del linguaggio interno

Se c’è qualcosa che incide profondamente sul nostro rapporto con l’autostima, è il nostro dialogo interiore. Come ti parli ogni giorno? Ti critichi costantemente? Minimizzi i tuoi successi e ingrandisci i tuoi errori?
Molte convinzioni limitanti sull’autostima nascono proprio dal modo in cui ci rivolgiamo a noi stessi. Frasi come:

  • “Non sono abbastanza bravo.”
  • “Non posso farcela.”
  • “Gli altri sono sempre più capaci di me.”

sono programmi mentali che, ripetuti nel tempo, diventano realtà. Ma cosa succederebbe se iniziassi a parlarti in modo diverso? Se invece di dire “Non sono abbastanza” provassi a dire “Sono come sono e posso migliorare”?

Smettere di rimandare la felicità

Un altro grande ostacolo alla percezione di sé è la tendenza a legare il proprio valore a traguardi futuri: “Quando sarò più magro, allora mi sentirò bene.” “Quando avrò successo, allora sarò felice.” “Quando troverò la persona giusta, allora sarò completo.”

Ma se la felicità non fosse una meta da raggiungere, bensì una scelta che possiamo fare ogni giorno? Se iniziassimo a darci il permesso di sentirci bene adesso, senza aspettare di diventare “abbastanza” per meritarlo?

Un nuovo paradigma

Più che cercare di costruire l’autostima, potremmo imparare a vivere in uno stato in cui non ne abbiamo bisogno. Questo accade quando ci troviamo in quella che alcuni esperti chiamano “stato generativo”: uno stato mentale e fisico in cui siamo completamente presenti, connessi con ciò che vogliamo e con la nostra capacità di agire nel mondo.

In questo stato:

  • Non hai bisogno di confrontarti con gli altri per sentirti valido.
  • Non ti preoccupi eccessivamente del giudizio esterno.
  • Non aspetti di essere “pronto” per iniziare qualcosa di nuovo.
  • Ti concentri sul fare, più che sul pensare a come ti senti.

Come portare tutto questo nella tua vita

Se vuoi iniziare a vivere in questo modo, ecco alcuni esercizi che possono aiutarti:

  1. Fai una lista dei tuoi successi – Scrivi almeno 10 momenti della tua vita in cui hai ottenuto qualcosa di cui sei fiero. Non importa se piccoli o grandi: conta solo che per te abbiano avuto valore.
  2. Cambia il tuo dialogo interno – Ogni volta che ti critichi, fermati e sostituisci quella frase con una più utile e costruttiva.
  3. Sperimenta fuori dalla tua zona di comfort – Prova a fare qualcosa di nuovo, anche piccolo. L’esplorazione e l’azione aiutano a ridurre la dipendenza dall’autostima.
  4. Nota i momenti in cui ti senti nel flusso – Presta attenzione alle attività che ti fanno dimenticare di te stesso e cerca di coltivarle sempre di più.

L’autostima, così come la intendiamo di solito, potrebbe non essere così fondamentale come pensiamo. Forse il vero segreto non è lavorare per aumentarla, ma imparare a vivere in un modo in cui non sia più necessaria. E se, invece di chiederci se abbiamo abbastanza autostima, iniziassimo a chiederci: “Cosa posso fare oggi per essere semplicemente me stesso?”

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Un viaggio di trasformazione: la mia esperienza di coaching in un’azienda familiare

La telefonata che ha cambiato tutto

Ricordo con chiarezza la chiamata del Sig. Toscani. La sua voce trasmetteva un misto di preoccupazione e speranza: “Nella mia azienda non comunichiamo, non ci parliamo. Ho bisogno di confrontarmi con i miei figli, di condividere con loro le responsabilità e le scelte. Abbiamo margini di miglioramento, sia a livello organizzativo che produttivo. Può aiutarci?”

Il mio interlocutore si aspettava una consulenza tradizionale, ma io potevo offrirgli molto di più: un percorso che avrebbe permesso all’azienda di trovare le risposte dentro di sé, non di riceverle dall’esterno.

Il contesto: un’azienda a conduzione familiare

L’azienda Toscani è guidata da Antonio, il fondatore, affiancato dalla moglie Patrizia e dai figli Andrea e Marco. Il business è in crescita, ma il clima interno è teso: i ruoli non sono ben definiti, la comunicazione è frammentata e Antonio fatica a farsi riconoscere come leader. Il suo obiettivo? Creare un’organizzazione più solida e preparare i figli a prendere in mano l’azienda.

Le prime difficoltà

Fin dai primi incontri è emersa una dinamica tipica delle aziende familiari: la difficoltà nel separare il ruolo professionale da quello familiare. Antonio era il capo, ma anche il padre. Patrizia gestiva la produzione, ma anche le relazioni con i figli. Marco e Andrea oscillavano tra il ruolo di figli/dipendenti e quello di eredi/futuri manager. Questo creava tensioni, incomprensioni e una certa resistenza al cambiamento.

Un nuovo metodo di lavoro

Abbiamo deciso di istituire riunioni settimanali per migliorare la comunicazione e condividere le decisioni strategiche. Durante queste sessioni di team coaching, i membri dell’azienda hanno iniziato a confrontarsi apertamente, a definire ruoli più chiari e a prendere decisioni più consapevoli.

Uno degli aspetti più potenti è stato il lavoro sulla vision condivisa: “Tra cinque anni l’azienda sarà gestita dai giovani.” Questa immagine ha creato un punto di riferimento stabile per il cambiamento.

Momenti di crisi e di crescita

Non tutto è stato facile. In una delle prime riunioni vi sono state tensioni e resistenze. Le abbiamo affrontate e trasformate in energia propulsiva, vivendole come opportunità di rafforzare la coesione del team. Nonostante momenti di stallo, il percorso ha portato grandi progressi: Andrea ha iniziato a prendere più iniziativa, Marco ha smesso di procrastinare e Antonio ha imparato a delegare e fidarsi.

La trasformazione finale

Dopo un anno e mezzo e oltre 50 sessioni di coaching, individuali e di team, si è creato un nuovo equilibrio. La comunicazione è migliorata, le decisioni sono diventate più strutturate e i giovani hanno acquisito maggiore autonomia. Il percorso non ha risolto tutti i problemi, ma ha dato loro gli strumenti per affrontarli in modo più efficace.

Lezioni apprese

Questa esperienza testimonia che il coaching non è solo un metodo, ma una lente attraverso cui le persone possono vedere la loro realtà in modo nuovo, e che il cambiamento è possibile solo quando c’è una reale volontà di mettersi in gioco. E nelle aziende familiari, spesso, la sfida più grande non è solo organizzativa, ma profondamente emotiva.

Il mio viaggio con l’azienda Toscani è stato un percorso di crescita reciproca. Io ho aiutato loro a evolvere come persone e come team, loro mi hanno insegnato il valore della pazienza, dell’ascolto e della resilienza. E, alla fine, il più grande successo è stato vedere in loro la consapevolezza che il futuro dell’azienda è nelle loro mani.

Assertività: l’arte di comunicare con equilibrio

L’assertività è una competenza fondamentale nelle interazioni umane, che permette di esprimere le proprie idee, i propri bisogni e le proprie emozioni in modo chiaro e rispettoso, senza prevaricare gli altri.
Il concetto di comportamento assertivo nasce con Andrew Salter, nel 1949, e viene poi approfondito da Joseph Wolpe, negli anni ’60, che sviluppa protocolli di training per aiutare le persone a migliorare la loro capacità di esprimersi.

Nella comunicazione, possiamo individuare tre principali stili:

  1. Passivo: evita il confronto, non esprimere i propri bisogni e subisce le decisioni altrui.
  2. Aggressivo: si impone sugli altri, non ascolta e cerca di dominare la conversazione.
  3. Assertivo: trova un equilibrio tra l’espressione di sé e il rispetto degli altri.

Essere assertivi significa trovare il giusto spazio per affermare la propria posizione senza risultare passivi o aggressivi. Non si tratta di una questione di autostima, ma di sintonia con sé stessi e con gli altri.

Esempi pratici di comunicazione assertiva

Vediamo ora alcune situazioni concrete e il modo in cui si possono affrontare con un approccio assertivo.

1. Scelta in coppia: dove andiamo a cena?

  • Aggressivo: “Decidi sempre tu e hai dei gusti pessimi.”
  • Passivo: “Per me va bene tutto, scegli tu.”
  • Assertivo: “Mi piacerebbe se scegliessimo tenendo conto dei gusti di entrambi. Che ne dici di trovare un compromesso?”

2. Feedback sul lavoro

  • Aggressivo: “Questo lavoro è uno schifo.”
  • Passivo: “Non sono un esperto, magari si potrebbe migliorare…”
  • Assertivo: “Ho notato che il progetto può essere migliorato, ne discutiamo assieme?”

3. Suddivisione dei compiti domestici

  • Aggressivo: “Sono arcistufa/o di fare tutto da sola/o. E’ ora che ti dia da fare!”
  • Passivo: “Forse potresti aiutarmi di più, altrimenti mi arrangio.”
  • Assertivo: “Penso che sia importante che ognuno faccia la sua parte, possiamo discuterne per organizzarci meglio?”

Consigli pratici per sviluppare l’assertività

Essere assertivi è una competenza che si può sviluppare con il tempo e la pratica. Ecco alcuni suggerimenti:

  1. Conosci te stesso: Definisci i tuoi bisogni, i tuoi valori e i tuoi confini. Se non sai cosa vuoi, sarà difficile esprimerlo agli altri.
  2. Parla in prima persona: Invece di dire “Mi fai sempre arrabbiare”, prova “Mi sento frustrato quando succede questa cosa”.
  3. Impara a dire di no: Rifiutare una richiesta non significa essere scortesi. “Al momento non posso accettare questa richiesta, possiamo trovare un’alternativa?”
  4. Dai e accetta feedback: Offri riscontri costruttivi e chiedili agli altri per migliorarti senza sentirti giudicato.
  5. Mantieni la calma: Il tono di voce, il linguaggio del corpo e la respirazione controllata aiutano a comunicare sicurezza senza risultare aggressivi.

L’assertività non è un dono innato, ma una competenza che si può allenare e migliorare. Applicando strategie come quelle proposte, potrai comunicare con maggiore sicurezza ed efficacia, migliorando sia la tua vita professionale che personale. Inizia oggi stesso a esercitare la tua assertività e scopri il potere di una comunicazione equilibrata!

(Ph: cottonbro studio su Pexels)

Esplorando la soddisfazione lavorativa: ecco cosa è emerso dal mio personale sondaggio.

Qualche mese fa ho inviato un mini sondaggio ai miei contatti. Stavo ridefinendo il mio programma di coaching, inizialmente “generalista”, orientandolo verso la realizzazione professionale e il benessere organizzativo. Stava nascendo Peace&Work.

Mi interessava capire cosa le persone apprezzassero maggiormente del proprio lavoro e per quali motivi; quale aspetto volessero principalmente migliorare e quali azioni volte al miglioramento avessero eventualmente compiuto. Infine, alzando ancor più la posta, ho chiesto quale risultato ottimale avrebbero voluto raggiungere se avessero saputo cosa fare.

Pur trattandosi di un campione ristretto, le risposte hanno fornito uno spaccato interessante sul modo in cui lavoratori di diversi ambiti vivono il proprio approccio al lavoro (la stragrande maggioranza degli intervistati è lavoratore dipendente). È emerso un quadro variegato, ma con alcuni trend ricorrenti che meritano attenzione.

Cosa apprezziamo maggiormente del lavoro?
Le risposte rivelano un forte apprezzamento per gli aspetti che vanno oltre la pura retribuzione. Autonomia, relazioni positive con colleghi e clienti, e l’opportunità di imparare e crescere sono tra gli elementi più frequentemente citati. Questo conferma quanto la dimensione umana e il senso di appartenenza siano cruciali per il benessere lavorativo.

Cosa vorremmo migliorare?
Tra le aree di miglioramento spiccano la gestione del carico di lavoro, la comunicazione interna e la chiarezza degli obiettivi aziendali. Alcuni partecipanti hanno evidenziato anche l’importanza di un maggiore equilibrio tra vita privata e lavorativa, un tema sempre più centrale nelle discussioni sul benessere professionale.

Azioni intraprese per il cambiamento
Le risposte indicano che molti hanno già provato a migliorare la propria situazione, spesso investendo in formazione o confrontandosi con colleghi e superiori. Tuttavia, per alcuni la difficoltà sembra risiedere nel trovare strumenti concreti per tradurre le intenzioni in azioni efficaci.

Una riflessione sulla leadership e la cultura aziendale
Le risposte al sondaggio fanno emergere una correlazione importante tra soddisfazione lavorativa e cultura organizzativa. Un ambiente che favorisca la fiducia e la collaborazione sembra essere un elemento chiave per motivare le persone e aiutarle a raggiungere i propri obiettivi.

E quindi?
Ho ricevuto ulteriori conferme delle dinamiche che influenzano la soddisfazione e la realizzazione professionale. Ho compreso che Peace&Work può dare un effettivo contributo per avviare riflessioni strategiche, sia a livello personale che aziendale, per costruire contesti di lavoro più saniequilibrati e produttivi.
Con Peace&Work, non solo si lavora per migliorare l’ambiente organizzativo, ma si costruisce un percorso unico e sostenibile, pensato per valorizzare le persone e il contesto in cui operano.

Condividi la tua esperienza nei commenti: quali sono le sfide più grandi che affronti sul lavoro?